Michel Onfray non è poi così noto dalle Alpi in giù, ma dalle parti della Senna gode da anni dell’attenzione dei media. Filosofo da salotto tv, provocatore, intellettuale si è mosso da principio da posizioni di sinistra dura e pura, per poi trasformarsi a partire dal 2010 – in parallelo col crescente successo – in una figura politicamente sempre più ambigua: auto definitosi sovranista, ha iniziato a denunciare la cosiddetta (da lui) islamo-sinistra ed a straparlare in maniera via via più superficiale. Questo inesorabile scivolare in posizioni che Vanetti chiama «la sinistra di destra» si è concretizzato recentemente nella pubblicazione di una nuova rivista, Le front populaire, il fronte popolare. Rivista orgogliosamente sovranista, si definisce già nell’occhiello del titolo della testa «la rivista di Michel Onfray»: credo che ciò basti a disegnare la megalomania del personaggio. Il nuovo numero è dedicato niente meno che allo stato profondo, concetto caro a Trump, ai seguaci di Q versante QuAnon (e non Luther Blisset) ed alla peggiore destra mondiale. Concetto però che in qualche maniera può trovare orecchie interessate anche a sinistra, probabilmente anche grazie alla profonda penuria di idee in cui naviga la gauche francese.

Ora, il nostro Onfray rientra a pieno nel largo consesso di filosofi di cui snobbo la lettura. Si tratta di un mio limite caratteriale, probabilmente, ma ho sempre avuto un’antipatia a pelle verso questo generi di personaggi ed ho accuratamente evitato di aprire un suo volume, anche durante il periodo in cui poteva godere di una fama migliore. Figuriamoci ora.

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